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Cosa è il transfert psicoanalitico? E in cosa si differenzia dal transfert pedagogico?

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Margherita88 - 23 maggio 2008

Domanda: Cosa è il transfert psicoanalitico? E in cosa si differenzia dal transfert pedagogico?

Devo sostenere un esame di Pedagogia della marginalità e della devianza minorile, il prof chiede la differenza tra transfert pedagogico e psicoanalitico che sul libro non è per niente esaudiente. Potreste dirmi cos'è esattamente il transfert psicoanalitico e in cosa differisce dal transfert pedagogico?


Risposta

Il
transfert psicoanalitico è un naturale meccanismo psicologico per cui un individuo tende a proiettare (trasferire, vedere, leggere) nell'altro sentimenti, emozioni, intenzioni (positive e negative) che in realtà appartengono a se stesso. Una schematica definizione ed un veloce approfondimento può trovarli su Wikipedia.
Il transfert (ed il controtransfert) generalmente accade durante il colloquio clinico tra terapeuta e paziente ed all'interno di una
relazione terapeutica.
Anche la
relazione educativa tra educatore ed educando - che è una delle tematiche maggiormente trattate e valorizzate ed intorno alla quale ruota buona parte dell'interesse e della ricerca pedagogica contemporanea - date le forti implicazioni cognitive, emozionali e socio-affettive, ha portato diversi autori, legati prevalentemente alla Clinica della Formazione (R. Massa), a evidenziarne una similitudine con la relazione tra terapeuta e paziente in ambito psicoanalitico.

Nel
transfert pedagogico, e all'interno di una relazione educativa, emergono aspetti del profondo da parte dell'educando (e non solo) legati ad esempio al rapporto genitoriale ed al suo vissuto educativo. Da qui la connotazione di pedagogico.
A differenza del terapeuta, l'educatore è coinvolto in prima persona nel
progetto esistenziale, nel progetto di realtà dell'educando, perchè deve mettersi in gioco e quindi rischiare. Senza questa com-partecipazione (estranea al lavoro dello psicoanalista) non può esistere relazione educativa autentica. Anche nella prassi, è noto, che i setting (intesi anche come contesti operativi) sono totalmente differenti.
Il discorso è comunque molto complesso e non è possibile esaurirlo in poche righe.
Vi è anche da segnalare che non tutti gli orientamenti teorici pedagogici valorizzano la
teoria del transfert, , seppur generalmente non si disconosca, per un educatore, l'utilità di formarsi per conoscere e riconoscere tale "meccanismo" ed in generale le dinamiche psicologiche che sottendono a questa relazione; non dimenticando che, la relazione educativa, non si esaurisce in esse ma che sono solo strumenti.

Per concludere vorrei solo sottolineare che l'azione dell'educatore non può e non deve essere sostituita con l'intervento psicologico/psicoanalitico e che l'utilizzo della parola transfert (ed altri termini mutuati da altre discipline), se non supportata da una formazione ed un contesto operativo adeguati (ad esempio
multidisciplinare), aumenti il rischio di confondere ulteriormente la già compromessa identità professionale e culturale di chi lavora in campo educativo e di procurare non trascurabili danni all'educando.

Prima del transfert viene l'
empatia e prima dell'empatia come diceva Bertolini "l'interesse? la simpatia? l'amore? reciproci". Ciò costringe l'educatore a mostrarsi per "come è" seppur protetto (quando presenti) dalle tecniche acquisite con la formazione e l'esperienza; necessarie per gestire la complessità di questa relazione educativa.
Spero di essere stato sufficientemente chiaro. Grazie per la domanda.

Alcuni testi per approfondire:

La clinica della formazione. Un'esperienza di ricerca

Sottobanco. Le dimensioni nascoste della vita scolastica

L'eros in educazione, in Pedagogia al limite, La Nuova Italia - 1988 (P. Bertolini)

24 maggio 2008





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