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Cognitività e continuità educativa

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Cognitività e continuità educativa come possibile prevenzione della dispersione

di Mariadaniela Sfarra, insegnante.

Il raggiungimento di un adeguato sviluppo intellettivo, in tutte le sue manifestazioni e forme (cognitive, prassiche, relazionali), è l’obiettivo prioritario che la scuola si propone di raggiungere per ogni alunno, in maniera programmatica e scientificamente organizzata. L’intera impostazione curricolare ruota, infatti, in maniera sempre più evidente e massiccia attorno alla considerazione delle diverse forme di intelligenza. Ciò consente l’attuarsi, secondo gli studi piagetiani, di un continuo processo di adattamento all’ambiente, di accomodamento e di sviluppo secondo quei percorsi che lo psicologo chiama stadi, ma che nella sua stessa avvertenza non vogliono costituire delle barriere definite e circoscritte, bensì dei momenti qualificanti il processo cognitivo e affettivo-sociale.

Della necessità di uno sviluppo armonico nella differenziazione delle singolarità soggettive, sono ben convinti gli stessi Bonansea, Damnotti e Picco che affermano: «L’intelligenza, o meglio ciò che noi chiamiamo intelligenza quando intendiamo riferirci non a un’entità fissa e immutabile ma ad un processo dinamico, è l’oggetto dell’educazione. A qualsiasi livello è compito di chi educa favorire tale processo: non lo può fare la psicologia, né tanto meno la medicina o la terapia. Il ritardo ha una sua peculiarità educativa, oltre che psicologica, che trova soluzione unicamente in ambito didattico» .

Uno sviluppo armonico sul piano cognitivo dei soggetti che frequentano la scuola è una delle prime finalità caratterizzante l’intenzionalità educante dell’istituzione scolastica, cui è demandato prioritariamente il compito di potenziare le risorse individuali e di compensare le eventuali forme di carenze esperenziali, manifestate dagli allievi. Offrire le possibilità di sviluppo cognitivo e insegnare a pensare costituiscono, dunque, le finalità sostanziali del processo pedagogico attuato dalla scuola, perché ad esso (lo sviluppo cognitivo) è legata la scoperta, da parte dell’alunno, del senso stesso del mondo, della società nella quale vive e che ogni giorno muta in maniera quasi camaleontica.

Quando, peraltro, si sottolinea che «l’insegnante non deve limitarsi a spiegare, a dare delle informazioni, [perché] il suo obiettivo principale è quello di insegnare a pensare» si vuole anche superare la mera cognitività, spostando l’attenzione su tutte quelle altre forme in cui si articola la vita nella sua complessità: il sociale, l’affettività, il tempo libero, ed altro ancora. Solo nel caso in cui la scuola si fa luogo di vita reale, dove si affrontano i molteplici problemi della stessa quotidianità, sia pure secondo metodologie e strategie di intervento differenziate e alternative alle consuete, e con un certo ordine e rigore organizzativo, essa (la scuola) acquista un valore per l’alunno che la frequenta.

In altri termini, per ovviare alla sensazione che ci sia una frattura dalle proporzioni gigantesche fra il mondo così come si presenta nella sua concre-tezza giornaliera e le ore trascorse fra i banchi di scuola, è necessario che le attività formative siano conformi alle attese del singolo e non omologante l’intero gruppo classe. Ognuno deve rendersi partecipe del proprio fare, sia pratico, sia intellettuale, facendo sì che risulti chiaro il perché dei processi studiati. Se l’alunno verrà avviato a riflettere anche sui motivi dei processi, a cui quotidianamente assiste, apparentemente banali, si potrà ben sperare che tale ‘abitudine’ a pensare resti un suo modo di conoscere le cose.

É importante guidare l’allievo a comprendere il valore della riflessione sugli eventi e, inoltre, soffermarsi sul significato di una persona-lizzazione delle conoscenze. Solo reinterprentando ciò che l’allievo studia, ciò che ascolta, egli avrà la possibilità di ragionare sui contenuti, trasformandoli da argo-menti a argomentazioni, cioè elementi organizzati in modo critico ed interrelato. «Bruner [afferma che] il processo di apprendimento non riguarda solo l’acquisizione di conoscenze, ma anche di competenze: la competenza è definita come la capacità di servirsi delle conoscenze, intese come gli strumenti specifici cui ogni singola disciplina ricorre per la soluzione di problemi, e di elaborare strategie per acquisire i contenuti conoscitivi stessi».

Il saper pensare e il sapersi avvalere delle proprie conoscenze è frutto del collegamento che va inevitabilmente costruito tra i concetti appresi. Estrapolare dall’immagazzinamento di conoscenze delle connessioni è uno dei traguardi più importanti a cui il processo di insegnamento\apprendimento deve auspicare. Quando l’alunno saprà avvalersi di competenze, sarà in grado di superare i rigidi schematismi che separano i diversi ambiti disciplinari e avvalersi di strategie proprie di ogni campo, per risolvere problemi di più ampia portata. Tale «cambiamento strutturale (...) innesca un processo di crescita continuo, in quanto rende l’individuo ca-pace di una diversa ricettività e sensibilità rispetto agli stimoli; egli non esita più a impegnarsi in processi di cambiamento, sa autogovernare la sua stessa modifica-zione» . Del medesimo avviso sono anche gli autori dell’opera Dispersione scolastica e «drop-out» sociale, Lunetta e Pulvirenti, i quali ritengono che nel momento in cui si riuscirà a stimolare gli alunni ad «andare oltre l’apprendimento meccanico (...) per impegnare decisamente le [loro] strutture mentali (...), anziché soltanto la loro capacità di ritenzione» , si riuscirà ad ottenere un consistente incremento della loro creatività e della loro «disposizione a risolvere i problemi (problem solving)».

L’offerta di continue sollecitazioni ha la finalità di abituare le strutture cognitive del soggetto ad un continuo rinnovamento, ad una modificazione permanente, contribuendo fortemente ad aumentare le possibilità per un’autoformazione. Una volta scoperta la complessità del significato culturale e, insieme, la soddisfacente gratificazione motivazionale che se ne ricava, diventerà spontaneo per l’alunno ricercare sempre più frequentemente nuovi stimoli di conoscenza . I contenuti del processo di insegnamento che il docente propone agli scolari, facendo in modo che i primi risultino coinvolgenti ed interessanti, devono essere selezionati avendo cura che gli utenti siano in grado di ‘decifrare’ ciò che viene loro proposto.

«All’insegnante (...) non deve restare indifferente il grado di recezione, di comprensione, di utilizzazione del sapere scolastico in rapporto alla vita personale dei suoi alunni, o almeno di quegli aspetti che hanno un rilievo pubblico, una risonan-za esterna. (...) La consapevolezza è proprio l’effetto di questo confronto fra sapere e vita personale e sociale. Dal confronto può emergere disarmonia, sproporzione, separazione. A volte non si tiene conto di quello che sa: il sapere non diventa cultura, ossia non feconda e non cambia la vita» .

Il feed-back che si instaura tra l’insegnante e gli allievi deve essere considerato un’importante spia di verifica della relazione di insegnamento-apprendimento che li lega. Proprio perché la finalità ultima del processo intenzionalmente culturale iniziato a scuola consiste nell’applicare alla realtà concreta ciò che si studia, è essenziale che l’insegnante verifichi di continuo il grado di comprensione raggiunto dai suoi allievi. L’importanza di un buon rapporto comunicativo è evidenziato nell’opera Interventi per il contenimento della dispersione scolastica, ove si afferma che «l’insegnante deve tenere conto dello stato in cui si trova chi (l’individuo o la classe) riceve il suo messaggio (lezione, interrogazione, valutazione). Deve tenere conto dello stato di attenzione, disattenzione, opposizione, atteggiamento recettivo, interesse spostato verso qualcos’altro, ansia, che possono talvolta emergere sia a livello individuale che di gruppo. Deve essere inoltre pron-to a ricevere il riscontro (feedback) che proviene dalla classe per adeguare ad essa il suo messaggio».

Tramite una continua verifica e valutazione , oltre che ripro-gettazione dell’iter didattico, l’insegnante scongiurerà il pericolo che potrebbe indurre gli scolari ad intendere la cultura esclusivamente come il frutto di nozioni dedotte dalla lettura di libri . La cultura va presentata come un percorso formativo che non deve avere mai termine, che dura tutto il corso della vita dell’uomo, e perché ciò sia recepito ed attuato è necessario che gli alunni assimilino le fondamentali strategie per un significativo apprendimento sia presente che futuro. Il massimo approfondimento delle conoscenze e degli spunti di riflessione che vengono loro presentati avverrà in modo, probabilmente più accorto, se ognuno sarà portato a comprendere che l’opportunità formativa che viene loro offerta investirà solo un periodo della loro esistenza e per questo devono cercare di trarre da esso il vantaggio di comprendere il come apprendere.

Una volta estrapolato il significato della “struttura” bruneriana, presente al fondo di ogni contesto disciplinare, e il modo di estendere ad altri campi le conoscenze apprese, gli allievi sapranno come ampliare il loro processo di formazione. I soggetti dell’apprendimento scopriranno la facilità della conoscenza, l’entusiasmo di porsi dubbi sempre nuovi, l’interesse a porsi domande su argomenti apparentemente noti, imparando ad autogestire il loro stesso percorso formativo. «Si tratta quindi di promuovere il coinvolgimento e la partecipazione della persona che apprende, stimolandone la motivazione , l’emotività, i percorsi mentali. Ciò significa porre attenzione alla persona nella to-talità delle sue risorse, affinché questa, attraverso la conoscenza di sé e delle proprie potenzialità, arrivi ad un reale cambiamento, ad affrontare la realtà in modo autonomo, ad operare sane scelte per il proprio cammino di vita presente e futuro» .

Perché la finalità ultima della scuola, che consiste, appunto, nella promozione di un’educazione permanente, possa essere conseguita nel modo più mirato possibile alla sollecitazione della globalità della personalità sarebbe necessario individualizzare l’insegnamento per ogni alunno. Come si evince anche dalla lettura del Progetto giovani ‘93: «l’obiettivo-limite sarebbe, (...) la “scuola su misura”, così come auspicata da E. Claparède, in modo che ogni scolaro possa ricevere l’insegnamento che meglio risponde alle sue attitudini e ai suoi bisogni» . L’individualizzazione dell’insegnamento rappresenterebbe la strategia più adeguata per il potenziamento massimo delle capacità proprie di ogni alunno e, insieme, la più completa attualizzazione dell’insegnamento di un’educazione permanente.

Per “scuola su misura” si intende un’organizzazione pedagogica incentrata sul potenziamento delle risorse e sullo sviluppo massimo delle risorse, sia cognitive che manipolative, di ogni singolo scolaro. Di ogni fanciullo verrebbero considerati gli aspetti peculiari (il livello culturale di partenza, le esperienze di vita fatte, le risorse e i limiti), che sarebbero poi coordinati in un percorso programmatico individualizzato e rivolto a rafforzare gli aspetti positivi emersi e a colmare la carenze riscontrate. Riuscire a calibrare il carico di lavoro sulla base delle effettive risorse cognitive, motivazionali, socio-relazionali degli alunni, storicamente intesi (cioè dei fanciulli reali, delle loro concrete esigenze, necessità, aspirazioni), significhe-rebbe per la scuola adempiere in maniera eccellente ai suoi compiti educativi ed istituzionali.

Concordemente con quanto afferma il Progetto giovani ‘93 anche Lunetta e Pulvirenti nell’opera Dispersione scolastica e «drop-out» sociale ribadiscono il concetto secondo il quale «l’insegnamento individualizzato presuppone una rivoluzione nella concezione generale del processo educativo, il quale non si può limitare a prendere atto delle condizioni dei bambini e dei fanciulli, ma deve promuovere ciascuno di essi, nel senso che ciascuno deve essere posto nelle condizioni più favorevoli allo sviluppo delle sue capacità apprenditive, qualunque sia il livello finale raggiunto».

Tuttavia, perché si giunga ad un totale rinnovamento delle più frequenti impostazioni pedagogico-didattiche, sempre secondo Lunetta e Pulvirenti, «l’individualizzazione dell’insegnamento (...) è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per la ristrutturazione di tale relazione educativa», perché per pensare di trasformare positivamente le abitudini della vecchia scuola bisognerebbe ricorrere ad un più efficace ed aggiornato uso del materiale, degli esercizi, oltre che ad una rivisitazione dell’impiego delle strutture e degli spazi di cui la scuola dispone.

Un’altra strategia didattica mirata al rafforzamento delle risorse scolastiche di insegnamento è riscontrabile nell’uso della mappa cognitiva, che ha la finalità essenziale di guidare gli allievi alla scoperta delle più diverse realtà e, contempora-neamente, ad aiutarli a collegare, forse più direttamente di quanto non facciano altri accorgimenti metodologici, i principi formativi assimilati a relazioni di simili-tudine con elementi di altri campi disciplinari. «La mappa cognitiva è un modello che l’insegnante può utilizzare per analizzare la relazione esistente tra le caratteristiche di un compito e la prestazione fornita dall’allievo: essa gioca un ruolo fondamentale da un lato nella progettazione di materiali didattici e dall’altro nell’interpretazione delle prestazioni in fase di valutazione e nella predisposizione di interventi di mediazione più specifici grazie ad essa è possibile analizzare il processo mentale prendendo in considerazione sette parametri: il contenuto, la modalità, la fase dell’atto mentale, le operazioni mentali interessate, il livello di complessità, il livello di astrazione, il livello di efficacia».

La funzione educativa svolta dall’insegnante è imprenscindibile per una fluida selezione degli stimoli da proporre all’allievo. «Feuerstein (...) individua una [importante] (...) modalità di apprendimento (...) caratteristica dell’uomo: l’apprendimento mediato. Il bambino impara (...) soprattutto perché tra lui e l’ambiente si inserisce una figura (...) che viene esplicando una preziosa funzione di mediazione. Il mediatore (...) seleziona e organizza gli stimoli che devono arrivare al bambino, fa in modo che altri scompaiano o vengano ignorati, altri compaiono» .
Fin quando il soggetto in crescita non arriverà a conquistarsi una propria autonomia intellettuale e culturale si continuerà a rendere necessaria la presenza di un mediatore culturale. É naturale che nei primi approcci conoscitivi con l’esplorazione del reale è indispensabile un filtro che faciliti il passaggio e l’assimilazione dello stimolo pervenuto. La qualità di tale sistemazione conoscitiva dipenderà, inevitabilmente, dal tipo di filtro che il soggetto sperimenterà. Nel caso di un fanciullo, vissuto in un ambiente culturalmente stimolante, si può presupporre che i suoi genitori abbiano abbondantemente provveduto ad un’adeguata sollecitazione cognitiva. Al contrario, nel contesto di provenienza di un soggetto culturalmente svantaggiato è consequenziale che egli abbia ricevuto una limitata quantità di stimoli e di dubbia efficacia. In questo caso si può ritenere che il mediatore (figura di riferimento, genitore) abbia svolto, quasi sicuramente, una funzione inferiore alle possibilità di sviluppo di cui il soggetto disponeva. In ogni caso, la pro-secuzione del percorso formativo mediato prosegue a scuola, tramite la figura dell’insegnante, il quale ha il compito essenziale di potenziare le capacità esistenti in chi ha i prerequisiti sufficienti a farlo e compensare le carenze in chi è svantaggiato culturalmente.

«L’insegnante è per Feuerstein la figura a cui tocca istituzionalmente il compito di compensare con un intervento intenzionale e operativo la carenza di mediazione che si è prodotta all’interno del triangolo bambino-adulto-ambiente. (...) Dunque l’insegnante non si limita a trasmettere contenuti o a predisporre una maggiore stimolazione, ma interviene operativamente nella fase di concettualizzazione».

L’insegnante svolge la fondamentale funzione di mediatore tra gli stimoli che sollecitano il soggetto in crescita e la capacità del soggetto stesso a recepire le sollecitazioni ambientali. Nel particolare caso in cui il docente viene a trovarsi a con-tatto con soggetti culturalmente svantaggiati dovrà predisporre un adeguato piano di recupero e sollecitarlo a recuperare il bagaglio esperienziale e motivazionale che gli è mancato.

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Dr.ssa Mariadaniela Sfarra
Insegnante di sostegno per l'area umanistica, titolare di cattedra, in un Istituto Prof. le di L'Aquila.
Laureata in Pedagogia con votazione: 110/110 e lode nel 1997. Vincitrice di vari concorsi a cattedra per l'insegnamento per i diversi gradi scolastici. Cultore della materia presso la Cattedra di Didattica Generale, c/o la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di L'Aquila per otto anni.

e-mail:
mariadaniela.sfarra(at)istruzione.it

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